Biografia tratta dal libro di Gianni Virgadaula “I grandi pesi medi”
Jack La Motta fra i grandi pesi medi non fu il piu potente, né il più tecnico, né il più veloce, né il più bello a vedersi. Fu però pugile abilissimo e dotato di grande coraggio. La voglia di riscatto da una vita difficile risultò essere la molla scatenante che portò il ragazzo italo-americano del Bronx a brillare fra le corde del ring.
Jack nacque a New York il 10 luglio 1921, da padre italiano (di origine siciliana) e madre ebrea. Per questo gli fu imposto il nome di Jacob. Fin dalla prima infanzia mostrò una irrequietezza e una voglia di trasgressione che fecero di lui un ragazzo di strada violento e rissoso. Nella sua autobiografia “The Bronx Bull” (Il Toro del Bronx) scritta nel 1970, egli raccontò come ancora adolescente aggredì con un tubo di metallo un allibratore, certo Harry Gordon, che credette di avere ammazzato, portandosi dietro per anni la convinzione di essere un assassino. Gordon però, che era stato trovato agonizzante dalla polizia, sopravvisse e riapparve nel camerino di La Motta la sera in cui Jack divenne campione del mondo. L’apparizione di quel “fantasma” fu per lui una gioia forse ancora più grande della stessa conquista del titolo.
La Motta debuttò fra i professionisti nel 1941 a 19 anni. Alto 1.73, era un atleta dal fisico indistruttibile. Non aveva pugno, ma in compenso era di un’aggressività unica e non lasciava respiro agli avversari. Nei primi 20 mesi di attività disputò ben 34 incontri, scalando in breve le vette delle classifiche mondiali. Così, il 2 ottobre 1942, a New York, gli fu data la possibilità di battersi con il Sugar Ray Robinson, dal quale fu battuto ai punti in 10 riprese pur disputando un buon combattimento. La rivincita fra i due avvenne il 5 febbraio 1943 a Detroit, e stavolta jack, a sorpresa, sconfisse Sugar Ray ai punti, dopo averlo atterrato all’8° round. Quella vittoria assunse ancora più rilevanza se si pensa che Robinson da professionista non era mai stato battuto, e certo quella prima sconfitta dovette bruciargli molto, se appena 21 giorni dopo, sempre a Detroit, egli ottenne di potere ancora incontrare il Toro del Bronx. Sugar Ray si aggiudicò la bella vincendo sempre sulla distanza delle 10 riprese. E poi battè ancora La Motta il 23 febbraio del 1945 a New York, e a settembre di quello stesso anno a Chigago. Ma, sebbene sconfitto più volte da Robinson, proprio quelle sfide con il fuoriclasse nero, rivelarono lo straordinario talento di La Motta, al quale tuttavia continuava ad essere negata una chance mondiale. Egli però continuò a vincere e ad incontrare avversari di grande valore come Fritzie Zivic, due volte vincitore di Henry Armstrong. Con il croato Jack, fra il 1943 e il 1944, sostenne ben quattro combattimenti, vincendone 3 e perdendone 1. Tutti gli incontri si risolsero con un verdetto ai punti, ma quelle battaglie fra il furioso La Motta e lo sporco Zivic, sono passati alla storia come i match più scorretti della storia della boxe. Poi, nel 1947 a New York, esattamente il 14 novembre, Jack subì una clamorosa sconfitta per kot. al 4° round a causa del nero Billy Fox. Si parlò subito di combine. Venne aperta un’inchiesta, e nonostante il toro del Bronx negò di avere perduto il match volontariamente, la New York State Atlhetic Commission gli ritirò temporaneamente la licenza. La Motta rientrò sul ring il 1° giugno 1946 a Washington con una vittoria in 5 riprese su Ken Stribling. E a parte una battuta d’arresto con il fortissimo francese Laurent Dauthuille, agli inizi del 1949, continuò a vincere sino ad ottenere di battersi con il campione del mondo dei medi Marcel Cerdan. Il pugile francese aveva spodestato a sorpresa Tony Zale, ed anche per questo veniva dato favorito nei riguardi dello sfidante. L’incontro si svolse il 16 giugno 1949 a Detroit, e stavolta fu La Motta a sovvertire ogni pronostico. Egli infatti riuscì a battere il franco-marocchino, favorito anche da un infortunio subito da Cerdan alla spalla sinistra sin dal primo round. Così menomato, il campione nulla potè fare contro la furia di “Racing Bull”, e alla fine della nona ripresa il match venne sospeso. Jack La Motta era il nuovo campione, ma il discusso successo rese d’obbligo una immediata rivincita. Cerdan, tornato in ottima forma giurò che si sarebbe ripreso il titolo, ma stavolta fu La Motta ad infortunarsi durante un allenamento e il match, fissato una prima volta per l’8 settembre del 1949 al Polo Grounds di New York, venne rinviato al 2 dicembre dello stesso anno. Ma Cerdan non arrivò mai a quell’appuntamento. Il destino per lui aveva deciso diversamente. Infatti, l’aereo di linea, partito dall’Aeroporto di Orly non raggiunse gli Stati Uniti. Precipitò sulle Isole Azzorre. Non ci furono superstiti.
Jack La Motta difese per la prima volta il titolo mondiale il 12 luglio 1950 a New York contro il triestino Tiberio Mitri. Fu un match a senso unico. L’italiano, dotato di una eccellente tecnica, sembrava avere tutte le carte in regola per mettere in difficoltà il campione, ma incappò in una serata storta e non riuscì quindi ad arginare la consueta grinta di La Motta, il quale si aggiudicò il match ai punti in 15 riprese. Appena due mesi dopo, l’italo-americano si ritrovò di fronte il francese Laurent Dauthuille, che nel febbraio del ‘49 lo aveva sconfitto ai punti a Montreal. Il campione voleva prendersi la rivincita, ma il francese sentiva di potere compiere una doppia impresa: conquistare il mondiale e vendicare lo sfortunato Cerdan. Fu incontro molto duro quello che si combattè a Detroit il 13 settembre del 1950, e Dauthille si rivelò più abile di La Motta, più determinato. Ma al 15° round lo sfidante, nettamente in vantaggio, commise l’errore di continuare ad attaccare il campione e questo gli fu fatale. Per un attimo La Motta tornò ad essere “Il Toro del Bronx”, e martellando con ferocia lo sfidante riuscì a metterlo ko., conservando il titolo, che sembrava ormai dovere passare di mano. Ma ora sull’orizzonte di La Motta si materializzava l’immagine del suo antico ed implacabile avversario: Sugar Ray Robinson. Il 14 febbraio 1951, a Chicago, i due si ritrovarono l’uno di fronte all’altro per la sesta volta. Fu una lotta impietosa, crudele. Robinson, al meglio della forma, fece meraviglie e dominò il combattimento da par suo. Ma La Motta fu grandissimo per coraggio, stoicismo, tenacia. Investito da una valanga di pugni resistette sino al 13° round, e si sarebbe fatto ammazzare pur di non cedere a Sugar Ray. Ma l’arbitro Frank Sikora sospese quello che poi sarebbe stato chiamato “Il massacro di San Valentino”, e rimandò Jack all’angolo. Da quel giorno La Motta non fu più lo stesso, e al suo rientro sul ring, il 27 giugno 1951, venne messo ko al 7° round da Bob Murphy. Poi perdette e vinse con Norman Hayes. Nel ’52 si riprese la rivincita con Murphy. Chiuse definitivamente con la boxe nel ’54 con una sconfitta ai punti subita a Miami Beach per mano di Billy Kilgore.
Appesi i guantoni al chiodo La Motta fu chiamato spesso in show televisivi e spettacoli di intrattenimento, dove spesso duettava con il suo antico amico di strada Rocco Barbella, che come lui era divenuto un protagonista della boxe di quegli anni con il nome di Rocky Graziano.
Nel 1980 Martin Scorsese, dalla autobiografia di La Motta, trasse una felice trasposizione cinematografica realizzando il film “Racing Bull” (Toro scatenato), interpretato magistralmente da Robert De Niro. Uomo dal carattere impossibile, sempre destinato a far parlare di sé, La Motta fu un grande guerriero del ring, ma anche un protagonista della cronaca e del “gossip” del suo tempo. Si sposò per ben 6 volte, ma il suo più grande amore fu Vickie, la sua seconda bellissima moglie. Non ebbe mai un buon rapporto con i suoi manager, e nel 1961 – davanti alla Commissione senatoriale Kefauver – ammise di avere perduto di proposito con Billy Fox perché solo perdendo gli sarebbe stata concessa la chance di battersi per il titolo. In verità Jack arrivò al campionato del mondo proprio quando Mike Capriano – uomo di Frankie Garbo – divenne suo manager. E non a caso. Garbo infatti finì col vedere con simpatia La Motta e non ostacolò più la sua ascesa alla corona dei medi.
La Motta però non perse mai la sua ironia ed il suo buon umore. Diceva sempre. “Io sono stato fortunato perché sopra il ring non mi sono mai fatto male, e perché tante donne mi hanno voluto bene”.
Incontri disputati 106: vittorie 83 (30 per KO), 4 pari, 19 sconfitte