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Nino Benvenuti: una vita per il pugilato #BenvenutiGriffith50

Nino Benvenuti: una vita per il pugilato #BenvenutiGriffith50

È stato campione olimpionico nel 1960, campione mondiale dei pesi superwelter tra il 1965 ed il 1966 e dei pesi medi tra il 1967 ed il 1970.

Ha vinto il prestigioso premio di “Fighter of the year” nel 1968 e l’International Boxing Hall of Fame lo ha riconosciuto fra i più grandi pugili di tutti i tempi.

Il prossimo 19 Aprile prossimo rappresenterà per lui e per tutti gli appassionati di boxe una data particolare e cioè il cinquantesimo anniversario del suo primo indimenticabile incontro contro Emilie Griffith che lo laureò Campione del Mondo dei Pesi Medi Wbc e Wba.

In occasione di questa particolare ricorrenza lo abbiamo incontrato per parlare della sua entusiasmante carriera pugilistica, dei suoi avversari, delle sue imprese ma anche di alcuni aspetti della sua vita privata

Sei uno degli emblemi del pugilato italiano. Quanto ti inorgoglisce questa cosa ?

“Sicuramente tanto. Attraverso il pugilato ho potuto esprimere al meglio le mie capacità non solo fisiche ma anche e soprattuto morali. Ho imparato il rispetto per l’avversario, l’importanza del sacrificio e del lavoro nel raggiungimento di un obiettivo, la disciplina”

Come nasce la tua passione per la boxe ?

“A 13 anni mi sono fatto in casa un sacco riempito di granturco che cominciai a prendere a pugni. A quei tempi non c’era la televisione, la comunicazione era diversa e non sapevo neanche io come fare, ma provai e riprovai e mi piacque subito tanto. Io lo dico sempre, la boxe è una vocazione, è una passione che ti senti dentro e che una volta che hai ti riempe la vita”

A sedici anni sei stato costretto a scappare con la tua famiglia dalla tua città, Isola d’Istria. Che ricordi hai di quei giorni?

“Drammatici, nel 1954 gli jugoslavi costrinsero migliaia di italiani ad andare via. A mio fratello andò peggio, fu prelevato e portato senza motivo in un carcere a Capodistria, insieme a due suoi amici. Non aveva fatto niente, semplicemente aveva la colpa di essere eccessivamente italiano”

E dove siete andati ?

“Andammo nella vicina Trieste, per cominciare una nuova vita. In questa stupenda città, con il mio allenatore Luciano Zorzenon, misi per la prima volta piede in una palestra di pugilato, l’Accademia Pugilistica Triestina”

Da dilettante centoventi incontri vinti ed una sola sconfitta, in Turchia

“Avevo vinto anche quel match. L’allora presidente dell’Ebu, un francese, mi disse che si sarebbe impegnato per non omologare il risultato che fu un vero e proprio scandalo. Ma va bene così, l’importante è stato vincere gli altri centoventi”

Poi le Olimpiadi di Roma, vinte nel 1960

“È il successo che ricordo con maggiore soddisfazione. Arrivai a quella competizione al massimo della forma, sia fisica che psicologica. Quattro anni prima ero rimasto molto male per non essere stato convocato per le Olimpiadi di Melbourne. L’allora tecnico Steve Klaus, che ricordo con grande affetto e stima, mi disse che ero troppo giovane e che sarebbe stato meglio per me aspettare avendo appena diciotto anni. Solo a distanza di anni capii che la sua decisione fu presa solo per il mio bene”

A Roma ti aggiudicasti anche il premio come miglior pugile del torneo, superando Cassius Clay, mica uno qualunque

“Cassius Clay rappresentava il genio, l’elasticità del gesto atletico, la sfrontatezza di chi combatteva in modo diverso dagli altri. Io ero la perfezione tecnica, il pugile perfetto, capace di vincere per la precisione dei suoi colpi. Penso di aver meritato quel premio, al di la del fatto che le Olimpiadi si svolgevano in Italia (ndr: ride scherzando)”

Da professionista ottantadue successi e tanti titoli vinti. Al di la della tecnica, quale altra qualità ti ha permesso di vincere così tanto ?

“Sono stato un pugile capace più di altri di ragionare sul ring. L’intelligenza è un qualcosa che ti danno mamma e papà, che va al di là della scuola, ed io sono stato in questo fortunato. Ho combattuto contro atleti molto forti e spesso ho vinto proprio per questa mia capacità di ragionare e capire i loro punti deboli”

Mi fai un esempio ?

“I due incontri contro Sandro Mazzinghi. Lui aveva una potenza fisica incredibile, era istintivo, cattivo, a tratti animalesco, ma l’ho sempre battuto facendo prevalere la testa, un pò come Muhammad Ali fece contro George Foreman”

I tuoi tre incontri con Emilie Griffith hanno fatto la storia del pugilato. Con lui sei rimasto in ottimi rapporti anche dopo il tuo ritiro

“Emilie l’ho affrontato tre volte, sempre negli Stati Uniti. In tutti e tre i casi i match sono stati molto equilibrati, ma nessuno di noi ha mai pensato di contestare il verdetto. Tra noi c’era un rispetto incredibile, anche lui era un pugile molto intelligente, forse gli mancava - da peso medio - un po’ di potenza. Il primo incontro lo vinsi io ed ebbe luogo il giorno della chiusura del vecchio Madison. Nella rivincita si impose lui di stretta misura, gli organizzatori ci videro lungo e già assaporavano il business legato al terzo incontro, che ebbe luogo nel nuovo Madison. Fu un match combattutissimo, quindici riprese di straordinaria intensità a conclusione delle quali riconquistai il titolo di Campione del Mondo. Nel tempo ci siamo rivisti spesso, lui è anche stato padrino di cresima di mio figlio, a testimonianza di una amicizia vera”

Carlos Monzon ha segnato la fine della tua carriera. Che ricordi hai di lui, sia come pugile che come uomo ?

“Un ottimo ricordo. Come pugile era una furia, mi sconfisse due volte in maniera inequivocabile anche se io ero a fine carriera, ma con questo non voglio dire che non mi avrebbe battuto ugualmente anche qualche anno prima. Come uomo era molto diverso da me, ma anche con lui ho conservato un ottimo rapporto. Lo andai a trovare in carcere in Argentina, quando era stato incriminato per l’uccisione della sua terza moglie. Lo trovai come lo avevo lasciato, con il suo consueto sorriso beffardo e sicuro di se, parlammo per ore senza dover dimostrare - una volta tanto - chi era il più forte. Volevo fargli sentire il mio appoggio e lui apprezzò molto quel gesto”

È stato difficile appendere i guanti al chiodo ?

“No, dal momento che avevo capito di aver chiuso un ciclo della mia vita che sarebbe stato inutile prolungare. Io devo tanto alla boxe, mi ha insegnato a confrontarmi con i miei avversari ed a combatterli senza provare odio, in una parola mi ha fatto diventare un uomo vero. Ma mi ha fatto anche capire l’importanza della razionalità”

Nella tua seconda vita tante esperienze diverse. Iniziamo con il cinema..

“Ho recitato in due film. Il debutto in uno spaghetti western di Duccio Tessari, a fianco del mio amico Giuliano Gemma con il quale avevo condiviso il servizio di leva presso la caserma dei pompieri alle Capannellee di Roma. Poi in un film poliziesco di Stelvio Massi, nel 1975. Due belle esperienze, un mondo che mi appassionava e che ancora non si era guastato”

Poi la politica….

“Su questo tema vorrei fare alcune precisazioni. Io sono di destra, come tutti coloro che hanno vissuto in Istria negli anni delle espulsioni di massa da parte degli slavi. Come si faceva a non essere nemico di chi ti cacciava di casa ? Questo non vuol dire che sia fascista, come molti hanno voluto dire. Per il resto, è sempre stata la politica a cercare me e mai il contrario”

Sei stato per molti anni il commentatore tecnico del pugilato per la Rai. Come ti sei trovaato in questa veste ?

“Bene, per me è stato un modo per rimanere nel mondo che amo. Non ho mai pensato di fare l’allenatore, ma mi piace analizzare il modo in cui due pugili si affrontano sul ring. Rispetto ai miei tempi ora è tutto un altro mondo, ma se sei un appassionato, la boxe ti piace sempre seguirla, al di la del contesto in cui si svolge il combattimento e della qualità dei contendenti. Il mio incontro contro Griffith fu ascoltato per radio da 17 milioni di spettatori, a Milano a vedere il mio mondiale contro Mazzinghi c’erano 60.000 spettatori. Ora stiamo su altri numeri, speriamo che la situazione possa migliorare”

Nella vita privata, due mogli e cinque figli, di cui una adottata

Vero e ne sono felice. I figli ti danno il senso della vita, ti danno la continuità, ti fanno sentire importante ed utile. Quando decidemmo di adottare Soraya, a quel tempo una bellissima bambina tunisina, per noi fu una gioia immensa. Fare del bene ti arricchisce dentro”

Alla tua età è normale fare dei resoconti. C’è qualcosa che il mondo della boxe non ti ha dato ?

“Ho dato tanto e ricevuto tantissimo, più di quello che avessi potuto immaginare. Forse avrei potuto maggiormente mettere al servizio di chi gestisce il pugilato la mia esperienza sul campo, ma va bene così, il pugilato è stato comunque il grande amore della mia vita mia tra sofferenze, delusioni e gioie incancellabili”.

Stefano Buttafuoco

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